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LA VOCE DI GIGLI
(Breve estratto dalla biografia di Torsten Brander)
È difficile descrivere le caratteristiche della voce di Gigli, specialmente se non si è uno specialista della teoria del canto. Prima di poter azzardare un'opinione di qualsiasi genere, bisogna ascoltare il suono di quello strumento divino. Si è detto, che la voce umana è il più difficile di tutti gli strumenti, ma anche il più bello, se educata e usata giustamente. Questa certo è la verità, nel senso che lo sviluppo della voce fino al suo apice esige un impegno spietato di tanti anni anche da parte dell'individuo più dotato. Ma prima di tutto vi è il presupposto del buon senso in questo lavoro di sviluppo. D'altronde, anche l'esercizio duro non aiuta, se non si possiede un sicuro talento nativo per il canto.
La voce di Beniamino Gigli fu un regalo della natura. Come ha detto Edgar Herbert-Caesari, la sua voce fu la pura voce della natura, quella che "Madre Natura" gli aveva dato in tutta la sua prodigalità. Secondo Herbert-Caesari, Gigli rimarrà eternamente come il simbolo vivente di tutto ciò che la vecchia scuola italiana di canto rappresentava nel suo momento migliore. Anche il suo cranio era ideale per la forma, poiché dal punto di vista della fisiologia vocale era adatto a che la voce suonasse in modo ottimale. Le corde vocali di Gigli erano di livello superlativo, la sua tecnica di respiro funzionava perfettamente, ma in lui tutto culminava nell'istinto di cantare sviluppatosi alla perfezione, che lo guidava a fare sempre tutto giustamente.
Pochi cantanti hanno studiato sei anni prima del debutto e, ancora meno hanno continuato in tutta la loro vita, per molte ore ogni giorno a sviluppare e mantenere le loro voci. Pertanto la voce di Gigli era divenuta estremamente forte e con essa riusciva a cantare senza intervallo persino per la metà di un giorno!
Il tenore che intenda salire all'apice deve avere la capacità del do di petto. Il pubblico lo esige e senza di esso non è possibile conseguire il successo. All'apice della sua carriera Gigli fu un tenore assolutamente sicuro del do di petto, ma la cosa strana è che aveva avuto difficoltà con esso durante i primi due anni della sua carriera. Le ragioni possono essere anche psicologiche, perché un cantante al debutto è sottoposto ad una dura pressione dei nervi. D'altronde, le grandi masse di pubblico aumentano da parte loro la pressione. Sotto il maestro Rosati, però, riuscì a vincere queste prime difficoltà.
La voce di Gigli fu eccezionalmente portante, benché il sua volume non fosse grande. Ci sono tante testimonianze convincenti di questo portare stra-ordinario, come per esempio i concerti al Padiglione della Fiera di Helsinki e al Forum di Copenaghen. In queste occasioni anche gli ascoltatori seduti agli estremi angoli della sala potevano sentire il suo canto senza difficoltà.
D'altronde, contro la debolezza di volume della sua voce milita l'informazione fornita da Raffaello De Rensis. Erano stati misurati i gradi in decibel al Metropolitan, durante una recita di Rigoletto negli anni Venti. A Gigli furono rilevati per due volte 77 decibel e il suo “si naturale” nella cadenza de "La donna è mobile" dava un numero di 80 decibel. Lily Pons nell'aria "Caro nome" arrivava a 75 decibel.
Si citava il legato di Gigli come esempio. Le parti gloriosissime del suo strumento nobile erano svelate particolarmente bene nella sua mezza voce di miele. Come esempio classico si ha l'abitudine di citare la romanza di Nadir da I Pescatori di Perle.
Gigli è stato lodato senza riserve per la bellezza della sua voce sempre e dappertutto. Questo è stato l'unico aspetto della sua carriera sul quale tutti i critici sono sempre stati unanimi. Ma la pura bella voce non basta e neanche la prestazione tecnica senza errori, ma la voce deve venire direttamente dal cuore, perché in altro modo il cantare rischia di divenire un'insensibile acrobazia tecnica. Il canto di Beniamino veniva direttamente dal suo cuore, ma su di esso influiva anche un fattore più che negli altri: l'anima. Mai nella sua vita gridò mentre cantava, ma la produzione estremamente facile della voce fu il tratto più tipico nel suo canto. La facilità, con cui la voce veniva, ricorda le masse di acqua di un ruscello delle montagne norvegesi, che non temono nessun ostacolo. L'incisione fatta da lui della "Mattinata" di Leoncavallo non testimonia proprio questa facilità e libertà?
La voce di Gigli fu sin dall'inizio straordinariamente lirica e dolce. Essa cambiò e si maturò durante i decenni verso una direzione drammatica, senza mai perdere nulla dell'essenzialità del suo fascino originale. All'eccezionale durata della voce contribuì certo la saggia politica del cantante nello scegliere il suo repertorio. Non cantò mai i ruoli che superavano le sue possibilità vocali. Gigli ha spesso detto delle parole di saggezza ai giovani cantanti, su che cosa il cantare e lo svilupparsi della voce significavano secondo lui.
Durante la seconda metà della sua carriera cominciò a cantare in ruoli sempre più pesanti, come Radamès, Manrico, Don Josè, Canio o Pollione. Il tenore però non fu tanto entusiasta di parti di questo genere, ma cantò piuttosto i ruoli secondo lui più adatti alla sua vocalità, quali aveva cantato sin dall'inizio della sua carriera. Il crollo della salute gli impedì di realizzare il suo sogno di terminare la carriera con Otello. Da quest'opera cantò però, nel film "Mamma", tre scene sul palcoscenico, e senza dubbio se la sarebbe cavata bene nel ruolo.